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Viaggio nei mali della Ferrari

  • Immagine del redattore: Matteo Landi
    Matteo Landi
  • 27 mar
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 28 mar

Proviamo a identificare quali sono stati i fattori che hanno portato a questo lungo digiuno di titoli iridati



Dopo la Sprint del GP di Cina la Ferrari sembrava aver trovato nuovo slancio, ma sono bastate circa 24 ore per ridimensionare le ambizioni del team e dei tifosi. La speranza che sia l'anno buono si rinnova di anno in anno e quasi si fa fatica a ricordare quando il team di Maranello ha smesso di diventare vincente (in termine di campionati, non di vittorie di tappa, quelle sono arrivate) per entrare in un limbo fatto di attesa, ansie, speranze e sogni mai realizzati. 

Corre l'anno 2007, Kimi Raikkonen dopo una rimonta incredibile, e sfruttando anche la lotta fratricida fra Alonso ed Hamiton allora compagni in McLaren, artiglia l'ultimo titolo mondiale di un pilota in tuta Rossa. L'anno dopo Massa l'iride lo sfiora solamente mentre la Ferrari conquista l'ultimo titolo costruttori. Inizia poi un lungo digiuno, sia di titoli piloti, secondo solo al periodo di astinenza fra il titolo di Scheckter del 1979 ed il primo di Schumacher del 2000, sia di titoli costruttori. E quest'ultimo è un record (tutt'ora in corso): nel 1999 la Ferrari interruppe la "maledizione" iniziata subito dopo il titolo del 1983, record negativo non più imbattuto. 

I mali della SF-25, vettura che compete nel campionato in corso, sono ancora ignoti, in tutto o in parte, addirittura ai diretti interessati che stanno lavorando per venirne a capo. Figurarci se da fuori è possibile fare un'analisi accurata. Quel che è più semplice invece è provare a riassumere i motivi che hanno portato a questo asfissiante digiuno di allori. Senza la pretesa di essere esaustivo, posso riassumere quali sono le cause delle dolorose sconfitte Rosse, partendo da lontano.


Divieto dei test


Due piste di proprietà, quella di Fiorano e quella del Mugello. La prima utilizzata per "sgrossare" le monoposto, per test di gomme e deliberare le ultime modifiche già messe alla prova su piste più lunghe e probanti. Il secondo è un tracciato mozzafiato, con diverse altimetrie, curvoni veloci, rapidi cambi di direzione e pure un lungo rettilineo, ideale per test aerodinamici e non solo. La Ferrari dei tempi d'oro, quelli del dominio "schumacheriano", girava spesso sui questi due circuiti, a volte con più vetture in pista contemporaneamente. E magari in parallelo un collaudatore si trovava su un altro tracciato in giro per l'Europa a testare altri particolari o per mettere alla prova l'affidabilità della vettura. Infinite le distanze percorse da Luca Badoer, tester preferito di Schumacher e molto apprezzato da tutta la squadra. Anche le altre scuderie giravano molto, soprattutto i top team. Molto meno chi aveva budget risicati, come la Minardi, squadra faentina che poi si è trasformata in Toro Rosso, divenendo, dopo vari altri cambi di denominazione, l'attuale Racing Bulls. La Ferrari invece aveva il vantaggio delle due piste a disposizione da sfruttare in continuazione, tutto il giorno e fino all'imbrunire. Questo fino alle prime limitazioni ai test imposte dalla Federazione. 

Nel 2008 il mondo è al centro di una crisi economico-finanziaria con pochi precedenti. La F1 deve correre ai ripari per garantire la sopravvivenza di diversi team. Alcuni grandi marchi abbandonano la serie. Honda lascia subito prima del campionato in cui avrebbe potuto vedere i frutti del proprio lavoro. Ed infatti Ross Brawn si prende sulle spalle la squadra per la cifra simbolica di una sterlina, le da il suo stesso nome, e prima di rinvenderla alla Mercedes conquista entrambi i titoli 2009. Anno al termine del quale se ne vanno Toyota e BMW. La Federazione decide di aprire a nuovi team, provando a forzare la mano con un regolamento che prevede un budget assai contenuto ma che scontenta le squadre partecipanti. Ferrari in primis, erge le barricate, si oppone fortemente, ed insieme ad altri minaccia di fondare un campionato alternativo. Tutti gli attori per almeno un paio d'anni giocano al rialzo, alla ricerca di compromessi accettabili. Uno di questi è la limitazione a 30.000 km di test privati nel 2008, fino ad arrivare al bando delle prove private dall'anno successivo. Succede così che la Ferrari si ritrova privata di un'arma fondamentale, deve ripensare il processo di sviluppo, cercare una migliore correlazione fra i dati scaturiti dalle prove in galleria del vento e quelle in pista, e dotarsi di un buon simulatore. Ancora oggi sentiamo spesso parlare di quanto i test con i modelli in galleria non sempre trovano riscontri positivi su asfalto, e di quanto sia complicato programmare perfettamente il simulatore. A quest'ultimo sono dedicati gli sforzi di alcuni piloti, sotto contratto solo, o quasi, per questo. Risultato: i costi non sono poi tanto diminuiti e a Maranello hanno perso la strada che porta alla vittoria iridata.


Dream Team e leadership


Sapete quanti team principal ha avuto la Red Bull dal 2005 ad oggi? Uno, Christian Horner. E la Ferrari? Todt, quindi Domenicali, poi Mattiacci (durato un battito di ciglia), Arrivabene, Binotto e l'attuale (per quanto?) Vasseur. Totale: SEI! Un team di F1 non può essere gestito come una squadra di calcio che alle prime grosse difficoltà cambia allenatore. Senza nulla togliere alle squadre "del pallone", in un team del Circus si devono interfacciare fra loro una miriade di tecnici, ingegneri e manager. Chi sviluppa il telaio deve parlare con gli aerodinamici, che a loro volta non possono dettare gli ingombri senza tenere in considerazione i "motoristi". Poi ci sono tutti gli uffici presenti in qualsiasi grande azienda del mondo, da quello acquisti al controllo qualità. E via dicendo. Tutto deve essere coordinato alla perfezione da un vero leader, badando anche l'ego dei piloti con la premura di ascoltarli in quanto sono poi loro quelli che traducono il tutto in risultato. Il processo che porta all'eccellenza è lungo, e può essere infinito. Ecco, alla Ferrari non devono rischiare questo, ma la pressione che opprime chi lavora a Maranello non è la stessa che grava sui dipendenti Red Bull. Gli anglo-austriaci hanno vinto molto, ma hanno anche saputo tenere i nervi saldi quando le cose non andavano al meglio. All'inizio erano più famosi per le feste che per i risultati in pista. Poi hanno stravinto con Vettel e con Verstappen. Fra i due domini hanno anche assaggiato l'amaro sapore della sconfitta ma non hanno stravolto tutto. La Ferrari dopo l'addio di Schumacher ha vissuto di rendita fino al 2008, con gran parte del Dream Team ancora in organico. Poi è partita la caccia alle streghe. Domenicali cacciato, adesso è nientemeno che il Boss della Formula 1, Aldo Costa viene mandato via reo di essere poco "creativo", subito dopo trionfa con Mercedes, James Allison viene allontanato e poi ripreso, ma evidentemente tanto "scarso" non era se è vero che è stato fra gli artefici delle argentee creature che hanno stravinto nell'Era turbo ibrida. Questi sono solo alcuni esempi di licenziamenti (o dimissioni) forse non meritati. La Ferrari che seppe dominare era comandata da Jean Todt, arrivato a Maranello nel 1993, passato attraverso anni difficili ma anche, appunto, a stagioni indimenticabili e ricche di successi. Perché in F1 per vincere serve continuità.


Monogomma


La Ferrari ha saputo vincere anche in regime di monofornitura di pneumatici. Andando a ritroso, ma non troppo lontano, nel 1999 conquistò con Bridgestone il titolo costruttori, e l'anno dopo entrambi gli allori sempre con il "gommista" giapponese, divenuto monopolista dopo l'addio di Goodyear. La squadra di Maranello però costruisce un vero e proprio dominio in regime di concorrenza, con l'arrivo di Michelin nel Circus. Bridgestone ascolta sempre più la squadra italiana, e questa ne trae il massimo vantaggio. Un fornitore di gomme quasi in esclusiva, e la possibilità di girare senza limiti permise alla Ferrari di progettare e costruire vetture vincenti anche grazie alle capacità di Schumacher. Ma c'è da dire che nel 2002 e nel 2004 forse qualunque pilota avrebbe potuto aggiudicarsi il campionato, in assenza del campione tedesco. Adesso non è la gomma a doversi adeguare alla vettura quanto il contrario. Si parla di "capacità di gestire gli pneumatici", "capacità di mandarli in temperatura", siamo arrivati al mezzo che deve piegarsi alle esigenze delle gomme come fossero un ostacolo da dover superare, più che un mezzo per arrivare al successo.


Quotazione


Quest'ultimo punto è una provocazione che vuole essere anche una riflessione. Nel 2015 Ferrari viene quotata a Wall Street. Il prezzo delle azioni viene fissato a 52 dollari, la Rossa vale 9,8 miliardi. Poco dopo debutta pure a Piazza Affari. Oggi siamo arrivati a oltre 400 dollari per il titolo "Race". L'andamento, a discapito del nome, è in gran parte dettato dal mercato delle quote azionarie, dalle previsioni di vendita delle vetture stradali e dai bilanci, piuttosto che dai risultati in pista. Quanti titoli ha vinto dal 2015 la Rossa? Nessuno. Enzo Ferrari riteneva che il ricavato delle vendite delle auto servisse per finanziare l'attività in pista. Oggi la Ferrari è cambiata, il mondo è cambiato. Siamo sicuri che vincere sia così importante per chi tiene le redini della leggendaria marca automobilistica italiana?


Detto questo tutto può cambiare, e anche a Maranello possono (anzi, dovranno!) tornare alla vittoria. Ricordandoci che al cambiamento può essere preferita una sana evoluzione, come la storia della F1 insegna.



 
 
 

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